Il rapporto di riservatezza tra cliente e avvocato: un principio che deve essere difeso?



La dichiarazione dell’International Bar Association

Lo scorso 17 gennaio, l’International Bar Association (IBA) ha rilasciato una dichiarazione in difesa della riservatezza cliente-avvocato, dopo una serie di recenti attacchi al principio da parte di organizzazioni internazionali di alto profilo, tra cui le Nazioni Unite, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale e la Banca Mondiale[1].

La dichiarazione, con prefazioni dell’ex presidente della Corte Suprema del Regno Unito, Rt Hon Lord David Neuberger, e del giudice Lars Bay Larsen della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stata compilata da una task force IBA, appositamente messa in campo per sostenere i valori fondamentali della libera professione a livello internazionale.

Il documento si sofferma sulla definizione del dovere di “riservatezza” dell’avvocato nei confronti del cliente, che (con sfumature differenti a seconda del contesto di civil o common law) deve intendersi esteso a tutte le informazioni trasmesse da quest’ultimo ai fini dello svolgimento dell’incarico del professionista.

L’IBA sottolinea come la riservatezza dell’avvocato deve intendersi elemento essenziale per garantire il libero svolgimento della professione, l’efficiente amministrazione della giustizia e la corretta applicazione della rule of law. Il dovere di riservatezza tutela sia gli interessi del cliente, sia quelli dell’avvocato allo svolgimento del proprio incarico, posto che nessun cliente condividerebbe le proprie informazioni riservate se sapesse che queste possono essere svelate a terzi.

Queste le conclusioni dell’IBA nel suo statement:

  1. i limiti imposti dal diritto penale devono essere sempre rispettati, anche nel contesto di una relazione avvocato-cliente: tuttavia, le autorità giudiziarie statali sono soggette alla legge nella limitazione dell’obbligo di segretezza professionale, in linea con i principi di uno Stato di diritto;
  2. attualmente alcuni governi e organizzazioni internazionali stanno cercando di imporre limitazioni alla riservatezza tra avvocato-cliente, che rischiano di mettere in pericolo uno dei principi fondamentali della professione forense;
  3. è importante che le autorità di regolamentazione nazionali, gli ordini degli avvocati e le società tra avvocati dedichino maggiore attenzione alle responsabilità e alle regole associate agli obblighi di riservatezza avvocato-cliente e forniscano una formazione continua e di aggiornamento per gli avvocati su tali tematiche;
  4. è necessario concentrarsi su soluzioni che implicano: (i) l’uso responsabile e proporzionato del principio di riservatezza avvocato-cliente e (ii) la collaborazione con gli avvocati e gli ordini per cercare di prevenire qualsiasi illegale abuso del principio stesso da parte dei professionisti.

Il rapporto di riservatezza cliente-avvocato, la deontologia dell’avvocato europeo

Gli avvocati europei non solo devono rispettare le regole degli ordini forensi nazionali, ma anche quelle del Consiglio degli Ordini Forensi Europei (CCBE), che ha adottato due testi basilari: (i) la “Carta dei Principi Fondamentali dell’Avvocato Europeo”, del 24 novembre 2006, e (ii) il “Codice Deontologico degli Avvocati Europei”, del 1988, da ultimo modificato il 19 maggio 2006.

La dichiarazione dell’IBA sottolinea che gli attacchi diretti al rapporto di riservatezza cliente-avvocato sono attacchi al principio di legalità. Il segreto professionale è uno degli aspetti chiave del principio di legalità, come rimarca anche la Carta dei Principi Fondamentali dell’Avvocato Europeo, principio (b):

uno degli elementi essenziali della professione forense è la comunicazione all’avvocato di informazioni riservate che il cliente non rivelerebbe a nessun altro. Senza la certezza della riservatezza non può esservi fiducia. La Carta sottolinea la duplice natura di tale principio – il rispetto della riservatezza non è soltanto un dovere dell’avvocato, ma anche un diritto fondamentale del cliente. […]”

Analogo principio è stabilito dall’articolo 2.3 del Codice Deontologico degli Avvocati Europei, che ricorda che l’obbligo dell’avvocato di rispettare il segreto professionale è volto a tutelare non solo gli interessi del cliente ma anche quelli dell’amministrazione della giustizia. È per questo che esso gode, e dovrebbe continuare a godere, di una speciale protezione da parte dello Stato.

La situazione in Italia: il codice deontologico forense e il ruolo dei giuristi di impresa

In Italia, il codice deontologico forense disciplina espressamente il tema della riservatezza, sia nella sezione dedicata ai rapporti dell’avvocato con il suo cliente e la parte personalmente assistita (art. 28), sia nei principi generali (art. 13).

In deroga al dovere di segretezza, l’avvocato può divulgare le informazioni se necessario: i) per lo svolgimento dell’attività di difesa; ii) per impedire la commissione di un reato di particolare gravità; iii) per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita; iv) nell’ambito di una procedura disciplinare. Tuttavia, la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato.

Per quanto attiene al “giurista d’impresa”, il CNF (Sent. 26 agosto 2020, n. 161) ha affermato che tale figura è distinta (e incompatibile) rispetto a quella dell’avvocato: non può dunque godere di identica tutela della riservatezza. Analogo orientamento era stato espresso dalla CGUE (C-550/07, 14 Settembre 2010), considerando che il giurista d’impresa non gode di un’indipendenza professionale paragonabile a quella di un avvocato, data la natura di lavoratore subordinato e gli stretti legami con il datore di lavoro. Ciò ha portato recentemente alcune associazioni dei giuristi d’impresa (ECLA, AIGI) ad invocare un’equiparazione agli avvocati almeno dal punto di vista della tutela accordata dal segreto professionale.

Il rapporto tra dovere di riservatezza e tutela della privacy dell’assistito

L’avvocato ha inoltre un dovere di trattare i dati personali del proprio assistito in conformità alla normativa privacy applicabile. La normativa (nazionale e comunitaria) applicabile in materia di protezione dei dati personali ha una portata maggiore rispetto alla riservatezza che deve mantenere il professionista, estendendosi a tutta una serie di adempimenti (tra i quali: il dovere di informare il cliente circa le modalità di trattamento dei relativi dati personali; il dovere di custodirli con appropriate misure di sicurezza, tecniche e organizzative; ecc.) che esulano dal mero svolgimento della professione nel rispetto dei principi legali e deontologici.

Tuttavia, è possibile affermare che il rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali e il dovere di riservatezza nel rapporto con il cliente sono strettamente connessi: come evidenziato dall’IBA nello statement in esame, il rapporto di riservatezza avvocato-cliente consente di tutelare i diritti fondamentali di quest’ultimo (ivi incluso, pertanto, il diritto alla privacy). Dall’altro lato, prosegue l’IBA, tale tutela dei diritti del cliente è possibile proprio perché il professionista è vincolato da un dovere di riservatezza.

In altri termini: da una parte, la corretta tutela e la corretta conservazione dei dati personali aiutano a mantenere il segreto professionale e la riservatezza in favore degli assistiti; dall’altra, la sussistenza di un obbligo (legale e deontologico) circa il mantenimento del segreto professionale incoraggia una corretta tutela e conservazione dei dati personali.

La necessità di trattare i dati personali dei clienti in conformità alla normativa privacy è ancora più pressante nell’epoca attuale, in cui sono molteplici i rischi di compromettere il dovere di riservatezza verso i propri clienti in cui un avvocato può incorrere nello svolgimento dell’attività professionale, tra cui:

  1. smarrimento di documenti confidenziali o supporti elettronici contenente documenti confidenziali in un luogo pubblico/aperto al pubblico;
  2. smarrimento di cellulare e/o laptop di studio in luogo pubblico/aperto al pubblico§;
  3. accesso non autorizzato da parte di terzi al device mediante il quale il professionista svolge la propria attività;
  4. ricezione di e-mail dal contenuto sospetto dall’account di un altro collega; ecc.

Tutte situazioni molto comuni, in cui il rischio di violare il dovere di riservatezza (e d’incorrere in conseguenze legali e professionali) può essere minimizzato dall’avvocato mediante un buon livello di attenzione agli adempimenti a tutela dei dati personali (tra cui, a titolo esemplificativo e non esaustivo: proteggere i documenti con passwords; evitare di uscire fuori dal luogo di lavoro con documenti cartacei contenenti dati dei clienti; conservare i documenti contenenti dati personali per periodi limitati di tempo; ecc.).


[1] Tra gli attacchi al rapporto di riservatezza cliente-avvocato citati dall’IBA nello statement si riportano, a titolo esemplificativo: (i) il Rapporto dell’High Level Panel delle Nazioni Unite sulla responsabilità finanziaria internazionale, la trasparenza e l’integrità per il raggiungimento dell’Agenda 2030 – Integrità finanziaria per lo sviluppo sostenibile (2021), che ha evidenziato come “Gli avvocati e gli studi legali spesso abusino del loro privilegio professionale legale, affermando che compiti di routine, come la creazione di una società, che possono essere eseguiti da non avvocati sono protetti dalla divulgazione per motivi di privilegio legale”; (ii) l’Anti-Corruption & Integrity Global Forum dell’OCSE – Porre fine allo Shell Game: Cogliere sul fatto i professionisti che permettono i crimini fiscali e i colletti bianchi (2021), nell’ambito del quale è stato affermato che crimini quali l’evasione fiscale, la corruzione e la concussione “sono spesso nascosti attraverso complesse strutture legali e transazioni finanziarie facilitate da avvocati, contabili, istituzioni finanziarie”; ecc.