Con la Legge 5 novembre 2021 n. 162 (in vigore dallo scorso 3 dicembre) il legislatore è intervenuto in materia di pari opportunità sul luogo di lavoro, al fine di rafforzare la tutela già offerta dal Codice delle Pari Opportunità (D.lgs. n. 198/2006) e, nel contempo, contrastare il crescente divario salariale tra uomini e donne nel mercato del lavoro (c.d. salary gap).
I predetti obiettivi vengono perseguiti dalla nuova norma agendo su due diverse leve:
- da un lato, inasprendo l’apparato di sanzioni e controlli in tema di discriminazioni di genere e rafforzando altresì la trasparenza riguardo le retribuzioni e l’inquadramento contrattuale dei dipendenti uomini e donne nell’organizzazione aziendale;
- dall’altro, introducendo un inedito approccio premiale, con l’introduzione dal 1 gennaio 2022 di una “certificazione della parità di genere”, volta ad attestare le misure adottate dal datore di lavoro per eliminare le disparità di genere, il cui possesso darà accesso a sgravi contributivi.
Si tratta di misure ormai percepite come urgenti: d’altra parte in Italia il c.d. overall earnings gap, ossia la differenza media tra gli stipendi annuali di uomini e donne, è pari al 43,7 %, contro la media UE del 39,6 %: un dato che pone il nostro Paese tra quelli con il divario più significativo, tra l’altro ulteriormente acuitosi con la crisi pandemica che ha avuto pesanti riflessi soprattutto sull’occupazione femminile[1].
Di seguito, una sintesi delle principali novità introdotte dalla legge.
- Modifica delle nozioni di discriminazione
Viene integrata e ampliata la nozione di discriminazione diretta e indiretta (art. 25 del D. lgs. n. 198/2006), specificando che rientrano in tale nozione anche gli atti compiuti durante la fase di selezione di nuovo personale.
Tra le ipotesi che danno luogo a discriminazione indiretta, e come fattispecie di chiusura, vengono inclusi anche gli atti di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro che possono sostanzialmente e indirettamente sfavorire una lavoratrice; a titolo esemplificativo, la decisione di fissare riunioni periodiche al mattino presto, all’ora coincidente con quella di apertura delle scuole, potrà configurare ipotesi di discriminazione indiretta.
- Obblighi di reportistica
La nuova legge estende l’obbligo di redigere un rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile in capo alle aziende pubbliche e private che occupano oltre 50 dipendenti (prima la soglia era di cento dipendenti); tale estensione sortisce un effetto considerevole, posto che ora le aziende interessate saranno circa 31mila. La stesura del rapporto biennale rimane invece una mera facoltà per le aziende pubbliche e private che occupano fino a 50 dipendenti.
In linea di massima, con il rapporto si dovrà fornire non solo una fotografia del personale maschile e femminile assunto alla data della sua redazione, ma anche indicare le misure positive concretamente attuate dal datore di lavoro per far fronte al divario salariale e per assicurare la parità delle condizioni lavorative.
In altre parole si dovranno illustrare le misure attuate in tema di: formazione, promozione professionale, assegnazione di livelli, passaggi di categoria o di qualifica, nonché segnalare l’equa applicazione tra uomo e donna delle misure straordinarie, quali licenziamenti collettivi, utilizzo di ammortizzatori sociali, adozione di piani di incentivazione, prepensionamento, ecc.
Sarà tuttavia un decreto del Ministro del lavoro a indicare con maggior dettaglio i dati e le informazioni che necessariamente dovranno essere inseriti nel rapporto.
L’organo preposto a verificare l’effettiva redazione dei rapporti aziendali e la veridicità di quanto in essi contenuto sarà l’Ispettorato nazionale del lavoro. In caso di violazione si applicheranno sanzioni pecuniarie dai 1.000 e a 5.000 euro. Se poi l’inerzia del datore di lavoro dovesse protrarsi per oltre un anno dall’invito dell’Ispettorato del lavoro ad adempiere, verranno sospesi per un anno i benefici contributivi eventualmente goduti dalla società.
- Obblighi di trasparenza
Altra importante novità, che sarà anch’essa meglio circostanziata da apposito decreto, riguarda la possibilità da parte dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali di accedere ai dati del rapporto biennale sulla situazione del personale.
Nelle intenzioni del legislatore tale facoltà permetterà di rafforzare la tutela contro le discriminazioni, aiutando altresì i lavoratori discriminati a fornire la prova in sede giudiziale della discriminazione subita. Processualmente, l’onere della prova di comportamenti discriminatori spetta infatti al lavoratore; si tratta tuttavia di un onere “attenuato”, per il cui soddisfacimento sono sufficienti presunzioni ed elementi di fatto (articolo 40 del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna).
- Certificazione sulla parità di genere
L’assoluta novità della legge è l’introduzione, con decorrenza dal 1° gennaio 2022, della c.d. “certificazione della parità di genere”.
Tale certificazione è riservata alle aziende pubbliche e private, che, in via obbligatoria o su base volontaria, adottino i rapporti biennali e attesterà “le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità”.
Dotarsi di tale certificazione comporta rilevanti benefici, ossia:
- il diritto a un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, determinato in misura non superiore all’uno per cento e nel limite massimo di 50mila euro annui per ciascuna azienda;
- il diritto a un punteggio premiale nell’assegnazione di fondi e nella partecipazione di gare e avvisi banditi dalle amministrazioni pubbliche; in altre parole, il possesso di una certificazione di parità di genere con punteggio elevato determinerà un miglior posizionamento in graduatoria dell’azienda partecipante.
Con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dovranno tuttavia essere definiti i parametri minimi per il conseguimento della predetta certificazione.
Saranno poi meglio circostanziate altresì (a) le modalità di acquisizione e di monitoraggio dei dati trasmessi dai datori di lavoro e resi disponibili dal Ministero del Lavoro, (b) le modalità di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali e, infine, (c) le forme di pubblicità della certificazione.
A detto fine, inoltre, verrà istituito, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un Comitato tecnico permanente sulla certificazione di genere nelle imprese.
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Con le predette disposizioni la nuova legge dà altresì attuazione a quanto previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – pubblicato dal Governo lo scorso 5 maggio – che, nell’ambito della “Missione 5 – inclusione e coesione” anticipava l’introduzione di un sistema di certificazione della parità di genere per favorire l’imprenditorialità e l’indipendenza delle donne.
L’intervento, peraltro, si pone in linea con un percorso normativo che, con il Decreto Legge 31 maggio 2021 n. 77, all’articolo 47 “Pari opportunità, generazionali e di genere, nei contratti pubblici PNRR e PNC”, già introduceva specifici requisiti premiali nei bandi di gara pubblici, finalizzati a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani e donne, denotando la volontà del legislatore di rendere cogenti in tema di diversità e inclusione quelle che fino ad oggi erano state soltanto “buone prassi”.
Il PNRR traccia infatti un percorso di ripresa e sviluppo sostenibile che incorpora tutti i profili ESG (Environment, Social, Governance), introducendo normative ad hoc che assicurano rilevanza non soltanto ai profili ambientali e di innovazione, ma anche a tematiche d’impatto sociale, come quelle di diversità e inclusione e parità di genere.
[1] Sulla base di un recente rapporto pubblicato dall’Istat in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, INPS, INAIL e ANPAL la percentuale di donne che ha perso il lavoro nel 2020 è stata doppia rispetto a quella degli uomini; la caduta del tasso di occupazione è stata infatti dell’1,3% fra le donne contro lo 0,7% negativo fra gli uomini. Il dato è scoraggiante anche se si ci concentra sulle nuove assunzioni; considerando i primi nove mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il calo delle nuove assunzioni è pari al 26,1% con riferimento alle donne, contro un calo del 20,7% con riferimento agli uomini.